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Il rapporto tra Territorio e Scuola in era digitale

Pubblicato il: 17/02/2010 15:12:00 -


Le tecnologie digitali e l’affermarsi della filosofia web 2.0 rilanciano la dimensione locale e il territorio, non solo riferimento per essere, ma spazio di costruzione di nuove identità ibride. La scuola, non la scuola trasmissiva che impone il proprio codice sacrificando le diversità del margine, ma la scuola spazio aperto di generazione collaborativa del sapere deve catalizzare questo processo?
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Il progressivo affermarsi della comunicazione digitale ha aperto interessanti prospettive su molteplici aspetti: economia, sistemi educativi, marketing, sicurezza, fruizione di contenuti, politica e politiche… Tale fenomeno sta assumendo la dimensione di una rivoluzione antropologica e come tale ci interroga su alcuni aspetti della nostra vita: relazioni, prossimità, amicizia, interessi.

Nella dialettica tra luoghi e flussi, la digitalizzazione della nostra vita ha accelerato l’imporsi dei flussi, assurgendo a grande asse capace di interconnettere i non luoghi dell’economia e della geopolitica globale. Ma la partita sembra tutt’altro che chiusa e i luoghi stanno vivendo la stagione della propria rivincita in tale nuovo contesto competitivo, prefigurando un processo di ibridazione per cui i linguaggi del globale vengono riletti alla luce del locale e viceversa. La filosofia del web 2.0 – la cui più potente rappresentazione ci è oggi fornita in Italia dal successo di Facebook – ce lo dice con molta chiarezza.

Proviamo a fare un esercizio per valutare la forza empirica di tale processo? Digito la parola Sicilia in Facebook. Ottengo una notevole quantità di pagine ciascuna con migliaia di fan, di coloro che ne “sposano” i contenuti: archeologia, letteratura, gastronomia, solidarietà (raccolte per l’alluvione di Messina), concorsi fotografici, politica e tanto altro; c’è una pagina dedicata al cannolo e una alla cassata; trovo anche l’Orchestra Sinfonica siciliana. Tutte arene di confronto proprio sul tema dei luoghi, che consolidano un’appartenenza e rispondono a un’esigenza crescente di identità di luogo. Non è un caso isolato. Prendiamo un piccolo centro. Proviamo con Santulussurgiu, piccolo comune sardo dell’oristanese, che è presente in Facebook con tre pagine, “Centro storico di Santulussurgiu”, la pagina istituzionale del Comune e la Biblioteca comunale, pagine che non soltanto parlano di territorio, ma ne attivano una relazione comunicativa.

Andiamo avanti e proviamo con le produzioni tipiche, il vino in particolare, che costituisce forse la produzione territoriale per eccellenza, nel senso che il suo valore è funzione dei luoghi. Barolo , Amarone, Chianti, Cannonau, Etna Rosso, tutte pagine presenti talvolta in quantità multipla, indipendentemente dalle singole aziende che scelgono questa modalità di comunicazione. Pagine che, create da cittadini legati al proprio spazio di vita e di cultura, rappresentano proiezioni di identità, vere e proprie esportazioni/rappresentazioni dell’essere.

Non parliamo di semplici siti celebrativi; sono spazi generatori di identità: siamo dinanzi a un circolo virtuoso per il quale partendo da un’adesione a luoghi e culture locali, si attiva un percorso di produzione diffuso, collaborativo e connettivo, intorno al tema della relazione Individuo-Territorio. Gli individui si fanno avatar di sé stessi e cominciano a tessere la narrazione convergendo nella produzione di un senso comune, strutturando la forma del pensiero di una comunità, ai suoi vari livelli.

In ultima analisi, è legittimo parlare di una ricostruzione della Comunità locale che ritrova per paradosso una propria ri-legittimazione nella dimensione della Rete? Questo si combina con la transizione da una logica puramente trasmissiva (broadcast) tipica del medium televisivo a una comunicativa e orizzontale (multicast), caratteristica del web 2.0? E ancora, che tipo di infrastrutturazione digitale del territorio dobbiamo concepire per favorire un impatto incrementale sui processi di coesione sociale e di appartenenza identitario?

Per infrastrutturazione digitale cosa intendiamo? Certamente l’alfabetizzazione di massa alla Rete e ai suoi linguaggi applicativi, che si appoggia a un’ampia, aperta e libera connessione alle reti, magari attraverso anche una tecnologia diffusa sul territorio con i sistemi wi fi. Ma certamente c’è bisogno anche della diffusione di una cultura “open source”, sia sul versante dei software, ma anche dei contenuti condivisi e dei patrimoni territoriali.

In quest’ottica una scuola che si digitalizza, puntando sull’intelligenza distribuita e connettiva, in ambienti di apprendimento reali e simulati può divenire lo strumento per eccellenza dell’ibridazione dei saperi locali con le grammatiche globali.

Il territorio, patrimonio dinamico di storia, cultura e valori, allora probabilmente si potrà fare esso stesso scuola, in una nuova relazione con la conoscenza codificata basata sul principio di contaminazione, in una reinterpretazione attiva e continua dei saperi. Che sia questa la strada e l’opportunità della scuola per dare corpo finalmente, dopo decenni di utopia, al tema dell’Educazione Permanente per intere comunità locali, oggi chiuse in se stesse e poco interconnesse con il mondo esterno?

È forse un modo per dare un ulteriore senso all’UGC (User Generated Content) che coinvolge il mondo della scuola, creando una pluralità di contributi, come suggerito nell’articolo UGC per la scuola di Carlo Crespellani Porcella, “un’opportunità di creare sistemi aperti alla contribuzione secondo criteri condivisi. Ma più che nel passato sorge ancora più evidente il ruolo del ‘processo’ di produzione come occasione di apprendimento dei ragazzi, tanto quanto il risultato dell’oggetto prodotto”.

Cosa c’è di più allettante di un’interazione dei giovani dei piccoli centri con il patrimonio del proprio territorio, attraverso le tecnologie globali? Un modo per loro di apprendere e valorizzare il locale e il globale.

Contemporaneamente.

Mauro Tuzzolino

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